giovedì 16 aprile 2015

Cenere, la Durazzo e il cellulare di Aquila

Ieri mattina, al cinema di Quinto, ho assistito a CENERE - RACCONTI PARTIGIANI IN ATTESA DI UN APRILE. Regia e testi di Lazzaro Calcagno e interpretazione di Marco Rinaldi.
Bella interpretazione davvero, quella di Rinaldi.
CENERE è stato visto da circa 6.000 studenti italiani e si capisce che è un testo rodato, calibrato sui ragazzi, quasi cesellato per loro: li interessa, li fa ridere e sorridere, li spinge ad "abboccare" a tutte le provocazioni, li fa addirittura cantare Fratelli d'Italia e Bella Ciao. Così scopriamo pure che le conoscono, dài! e chi se lo aspettava!?
L'ho pensato e subito condiviso con Lorenzo: «I tuoi ragazzi lo conoscono, l'inno nazionale? I miei no. I miei neppure Bella Ciao... Mannaggia! finisce che arrivano in terza media, la professoressa li porta a teatro, Marco Rinaldi li individua in mezzo alla folla di più di 150 ragazzi, come sta facendo ora con Gaia e Niccolò (bravi, eh! si sono alzati senza fare storie, emozionati ma neanche troppo, sostenuti dai compagni che li incoraggiavano divertiti e anche un po' ammirati... si vede che stanno diventando grandi), li chiama lì davanti al palco e... ta-dà! si scopre che non sanno neppure una parola!»

A un certo punto ha squillato un cellulare. L'hanno zittito, ma quello ha ripreso a strillazzare. Era il telefonino di un anziano signore, seduto al centro, in prima fila, dalle parti della III G, una classe di via Casotti che si è portata dietro chitarre e flauti; Rinaldi si è fermato, Aquila (è il nome di battaglia dell'anziano signore) ha risposto ma, seccatissimo, ha riattaccato subito, si è girato verso il suo compagno tredicenne e, a voce alta, gli ha spiegato, in dialetto, che si trattava di un... importuno seccatore. Beh, non ha detto proprio così e infatti hanno riso tutti, alla grande.
Anche Aquila ci sa fare, con i ragazzi.
Così Rinaldi ha ripreso il suo racconto. Tutte storie vere, accadute dentro e fuori Genova tra l'inverno del '44/'45 e i giorni della Liberazione, e gli spettatori della prima fila, quelli un po' in là con gli anni, possono testimoniarlo. Loro c'erano, si ricordano e ci ricordano che certe cose vanno sapute o, quanto meno, ripetute, raccontate, spiegate, rammentate.

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