domenica 16 dicembre 2012

Si salvi, chi può.

Quella che pubblico di seguito è la toccante lettera che un mio amico ed ex-concittadino ha indirizzato ai parlamentari della sua città, poi ripresa dai quotidiani nazionali. Come potrete vedere nella chiosa, il tema ci riguarda e merita una riflessione.

LC


Lettera aperta sul mio cancro 

di Gabriele Dadati

[Pubblicata lunedì 5 novembre 2012 sul quotidiano piacentino Libertà.]
Onorevoli XX, XX, XX,
mi chiamo Gabriele Dadati, ho trent’anni e sono uno scrittore. Quest’anno ho imparato a raccontare una storia nuova, un po’ spaventosa. Tutte le volte che la racconto, comincio così: “Il 23 aprile scorso sono stato operato di cancro al testicolo sinistro”. Poi mi affretto ad aggiungere: “Stai tranquillo: è una storia a lieto fine. Per fortuna il cancro al testicolo è più curabile di quello al seno”. Questo di solito tranquillizza la persona con cui mi trovo a parlare. Il tumore al seno è conosciuto, si sa che le possibilità di una prognosi favorevole sono ottime.

Sono stato operato al San Raffaele. La tac successiva ha rivelato metastasi a due linfonodi, per cui, seguito dal professor Cavanna presso il nostro ospedale, ho fatto tre cicli di chemioterapia. Al termine di questi cicli uno dei due linfonodi presentava un residuo: sono stato operato dal dottor Tavolini, sempre presso il nostro ospedale. E oggi, a sette mesi dalla diagnosi, sono guarito.
Ho una certa dimestichezza con il cancro. Nel 2009 ho perso un amico a cui ero, come noto, strettamente legato: Stefano Fugazza. Stefano è morto nel maggio di quell’anno. Pochi giorni dopo mia madre, in visita a casa mia, cercando di minimizzare mi ha detto: “Sai Gabriele, devo fare un piccolo intervento. Ho un nodulo al seno che è meglio togliere”. E così, due settimane dopo aver perso l’amico più caro, mi arrendevo al fatto che anche mia madre fosse malata di cancro. È stata operata due volte, ha fatto sei mesi di chemioterapia e poi le sedute di radioterapia. È guarita. Occorre – per lei come per me ora – badare alle recidive. A parte questo, ho in famiglia altri casi. Ho tra gli amici altri casi. Come tutti quanti, del resto, visto che il cancro è il male del nostro tempo.
Mia madre si è curata con molto coraggio e dignità. Negli ultimi mesi averla come modello e sentirla vicina (avere come modello e sentire vicina una persona che ce l’aveva fatta) è stato prezioso. Non sono riuscito ad avere neppure un briciolo del suo coraggio e della sua dignità, purtroppo. Ho vissuto nel territorio della paura di non farcela. Ho pianto spesso. E tuttavia, se la malattia è sempre insensata, posso dire che la sua malattia e la sua guarigione un senso per me l’hanno avuto: quello di mostrarmi in concreto la via d’uscita.
Non esiste via d’uscita, però, senza cure. Sul professor Cavanna posso ripetere un’opinione molto diffusa: non si riesce a dire se in lui sia più grande la competenza del medico o l’umanità della persona. Il suo spendersi per gli altri è sotto gli occhi di tutti. Il suo profilo di specialista è indiscutibile. Occorre che ringrazi inoltre il dottor Tavolini, da pochi mesi a Piacenza: mi ha spiegato l’importanza della seconda operazione e l’ha eseguita in maniera eccellente. Un’operazione di oltre tre ore, con un taglio sul ventre di 25 centimetri e la necessità di spostare i visceri, perché il linfonodo era dietro, vicino al rene. Un’operazione onerosa per il mio corpo, ma senza strascichi. Devo poi ringraziare Nicoletta, infermiera del Day Hospital oncologico, che mi ha seguito. Ognuno dei tre cicli di chemio che ho fatto durava cinque giorni. Ogni giorno dovevo stare steso su un lettino per alcune ore a fare flebo.   Al Day Hospital non ci sono postazioni fisse, tuttavia Nicoletta ha scelto per me un letto e me l’ha tenuto, giorno dopo giorno, perché avessi il mio posto. Era come se implicitamente mi dicesse: “Ecco, vedi? C’è un posto per te nel mondo e non ti verrà tolto”. Mi sono sentito difeso. E questo, per un malato oncologico che si sente precario in vita, ha un valore grandissimo.
Ci sono poi Gabriele, Enrico, Mary e gli altri infermieri del Day Hospital, come gli infermieri del reparto di Urologia da ringraziare. E ringrazio per come trasmettono serenità il dottor Bonanno e il dottor Fiordelise. Mi scuso per chi senz’altro dimentico. Tutte queste persone hanno voluto il mio bene al di là del loro ruolo. Così come i membri della mia famiglia e coloro che ho cari.
Raccontato tutto questo, chiarisco il perché della mia lettera aperta: ho una proposta da fare. La mia esperienza è stata di dolore fisico ed emotivo. Un dolore che mi sarei volentieri risparmiato. E inoltre è stata un’esperienza coincisa con un intenso percorso dentro il Sistema sanitario nazionale: due operazioni, tre cicli di chemio, due tac, due pet, la crioconservazione del seme, infiniti esami del sangue, infinite visite, infiniti medicinali. Il che vuol dire, concretamente, che quest’anno sono costato molte migliaia di euro allo Stato. Avrei preferito costare un po’ meno e soffrire un po’ meno, a dire la verità. Come sarebbe stato possibile? Forse, se mi fossi allarmato prima per il piccolo rilievo che sentivo sul testicolo (lo sentivo da mesi), avrei affrontato la malattia in uno stadio precedente e la seconda operazione o addirittura la chemio non sarebbero state necessarie. Ma il cancro al testicolo è subdolo: non fa male e in più è molto raro, quindi nessuno ti mette in guardia. Si conosce il varicocele, la cisti, ma non il cancro del testicolo. Ero ignorante e la mia ignoranza, unita alla malattia, mi ha messo in pericolo. Da questo la mia proposta: introdurre un insegnamento strutturato di educazione sanitaria nelle scuole dell’obbligo. Abbiamo visto che la cultura diffusa, relativa a certe malattie, ha avuto una grande incidenza sul miglioramento della prognosi. È il caso proprio del cancro al seno: le donne sono oggi molto consapevoli e questo permette in tanti casi un intervento tempestivo. Ma le donne sono oggi consapevoli perché c’è stata una importante e continuativa sensibilizzazione.
Immagino una scuola dell’obbligo in cui si affianchi all’educazione fisica un insegnamento teorico con un monte ore congruo. Immagino programmi scolastici in cui si parla seriamente di alimentazione – cibi basici e cibi acidi: come sa ogni malato oncologico, ma varrebbe la pena scoprirlo prima – e si offre a ogni ragazzino una conoscenza buona del suo corpo, perché impari a monitorarlo e ad ascoltarne i segnali. Immagino compiti in classe e interrogazioni in cui si danno anche insufficienze e magari si boccia, perché una appropriata cultura della salute è importante tanto quanto la letteratura, la matematica e le altre materie. Immagino che una cultura diffusa, data dallo Stato e non sviluppata dal singolo per scelta privata, sia il tipo di percorso che renderebbe più facile il compito dei nostri medici e dei nostri infermieri (medici e infermieri, quando possono, vanno nelle scuole a parlare: ma lo fanno per buona volontà, non dentro un progetto ampio), facendo diminuire i falsi allarmi e aumentando la velocità delle diagnosi.
A inizio anno ho tenuto un corso di aggiornamento per gli insegnanti del nostro liceo classico parlando di Neoavanguardia e poesia sperimentale. Per fortuna i corsi di aggiornamento esistono e i fondi per farli, pochi o tanti che siano, anche. Forse si potrebbe utilizzare questa via d’accesso per dare agli insegnanti della scuola dell’obbligo gli strumenti per parlare ai loro ragazzi. Mi piace credere che questo possa rientrare nel novero di quelle riforme a costo zero di cui il nostro sofferente Paese ha bisogno per darsi un futuro meno atro del presente.
Vi ho scritto perché sono un elettore piacentino. Ho sempre votato. Credo nella democrazia e nel fatto che il Parlamento mi rappresenti. In particolare sento vicini voi, che siete miei concittadini. Per cui a voi sottopongo questa proposta, nella speranza che possa essere discussa concretamente.
Per il vostro ascolto, per la vostra attenzione, per il vostro lavoro vi ringrazio.

Gabriele Dadati

10 commenti:

  1. Avevo già letto la lettera di Gabriele Datati, toccante e reale, paurosa ma concretamente utile.

    Sarebbe bellissimo invitare questo ragazzo e cercare a tutti i costi di portare avanti il progetto anche da soli.
    Io personalmente sono ossessionata dal cancro perchè subdolo e silenzioso.
    Cerco nella vita di tutti i giorni di insegnare a mia figlia come alimentarsi, come vivere senza sprechi, come usare certi prodotti, ma in verità anche se mi informo leggo e "studio" ho sempre la sensazione di non fare le cose corretamente o meglio, magari ne faccio alcune e dovrei farne altre.
    Poi c'è il resto del mondo che ti circonda e che magari viene in macchina fin davanti a scuola la lascia con il motore acceso e sosta sulle strisce pedonali senza nenche possibilità di passaggio scaricando i figli senza fargli fare due passi a piedi. Ti poni delle domande!

    Insomma che dire, se penso che nella nostra classe non siamo riusciti neanche a far passare il messaggio che a metà mattina la merenda fosse la frutta e non le merendine...
    Tutte le mattine parlo con mia figlia e le spiego perchè le metto la frutta al posto di altro, anche se lei tutte le mattine mi dice cosa portano gli altri bimbi e cosa vorrebbe.

    Non sono così scrupolosa sempre (come invece vorrei) ma cerco di fare del mio meglio.

    Una mamma dell G. Da Verrazzano

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  2. L’educazione sanitaria è un ottimo argomento, e anche io penso che sarebbe giusto venisse “istituzionalizzata”, in mancanza di soluzioni stabili, sarebbe un primo passo se la scuola aprisse alle iniziative volontaristiche dei genitori e invece mi sembra che non lo faccia, l’hanno scorso ho proposto un percorso di educazione al risparmio (può sembrare strano ma è un tema attinente a quello della salute) per le quinte elementari in collaborazione con Junior Achievement (http://www.jaitalia.org/) ma è stato rifiutato perché in sovrapposizione con un analogo progetto della Regione Liguria. Approfitto di questo spazio pubblico per chiedere agli genitori quali bambini ne hanno beneficiato.

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    1. Ciao Michele,
      mi pare che nessuno tra quelli che conosco e con cui parlo quotidianamente all'uscita da scuola sia a conoscenza di questo progetto della Regione Liguria.

      Paola (G.Da Verrazzano)

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  3. Michele, ne approfitto per ringraziarti del tuo prezioso lavoro nel precedente mandato e per scusarmi con te. Non vorrei che questo blog fosse apparso come una sovrapposizione al tuo precedente. Semplicemente, quando ho avuto l'idea non conoscevo il tuo, e dopo, non avendo avuto notizie a riguardo (né codici di accesso, ecc.) ho valutato che ritenessi chiuso quel percorso e di attivarne uno nuovo. Se credi, lo linkiamo nel colonnino di destra, come archivio, o provvedi tu a linkare le cose che ti paiono interessanti. In generale, ogni tuo contributo a noi novizi sarà preziosissimo! Salutone.

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  4. Mariacristina Ruggieri18 dicembre 2012 alle ore 10:29

    Sì, è una faticaccia... e in più la lettera di Dadati è un pugno nello stomaco! L'unica cosa da fare, però, credo sia insistere e continuare a trovare e provare nuove soluzioni.
    Una risposta forse scontata alla questione sollevata dalla mamma della Da Verrazzano è il progetto "frutta snack", che da qualche anno funziona in molte scuole d'infanzia genovesi e, ad esempio, anche nella scuole d'infanzia del nostro Istituto. E' un progetto semplice, che allo stesso tempo evita sprechi ed educa alla salute, una cosa tipo uovo di Colombo: i bambini mangiano a metà mattinata la frutta del dopo pranzo e, all'uscita da scuola, ne ricevono un'altra porzione che i genitori dovrebbero invitare a consumare subito. Nelle scuole a tempo pieno può essere proposto e, magari, riformulato sulle esigenze di studenti più grandi.
    Nelle scuole a tempo normale non può essere adottato, ma, se posso portare un esempio, l'insegnante di mio figlio (IV Manfredi, 27 ore settimanali con un solo pomeriggio), ogni giovedì, prima di lasciare la mensa, raccatta tutta la frutta avanzata dai ragazzi sui tavoli e gliela ripropone nel pomeriggio, come breve pausa tra una lezione e l'altra. E' un'insegnante e, così facendo, fa il suo lavoro: li educa, semplicemente.
    A noi tocca il resto...

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  5. Interessante, Mariacristina. Solo non capisco la frase: "i bambini mangiano a metà mattinata la frutta del dopo pranzo". Intendevi metà pomeriggio, forse.

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  6. Mariacristina Ruggieri18 dicembre 2012 alle ore 15:06

    no no, proprio a metà mattina! stavo parlando del progetto così com'è svolto all'asilo, però: dato che i bambini più piccoli tendono a non completare il pranzo rinunciando alla frutta, che così va perduta, si è deciso di toglierla dal menu di mezzogiorno anticipandola in classe a metà mattinata. Pare che funzioni: mio figlio ha frequentato l'asilo di via Somma per tre anni e questa storia della frutta verso le nove e mezzo del mattino c'è sempre stata, con soddisfazione di insegnanti docenti e cuoche. Proprio per questo motivo proponevo di riformulare il progetto in base alle esigenze degli studenti delle elementari.

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  8. Caro Lorenzo, ma che scuse?! Nel blog "ilmiocircolo" ho definitivamente salutato e messo il link al tuo, se non lo chiudono di iniziativa, rimarrà come memoria storica, ma non mi sembra ci siano cose particolarmente interessanti da salvare, ovviamente collaboro volentieri ad ogni iniziativa che possa portare qualche beneficio ai nostri figli.

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  9. Mariacristina Ruggieri (Manfredi)19 dicembre 2012 alle ore 16:19

    Oramai sono (quasi) fuori tempo massimo, ma pare che per le due scuole a tempo pieno dell'Istituto non ci sia nessuna proposta per istituire le relative commissioni mensa... come mai?

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