"Non respira, non conta più nulla, arranca, è povera,
marginalizzata, i suoi edifici crollano, i suoi insegnanti sono umiliati,
frustrati, scherniti, i suoi alunni non studiano, sono distratti o violenti,
difesi dalle loro famiglie, capricciosi e scurrili, la sua nobile tradizione è
decaduta senza scampo. È delusa, afflitta, depressa, non
riconosciuta, colpevolizzata, ignorata, violentata dai nostri governanti che
hanno cinicamente tagliato le sue risorse e non credono più nell'importanza
della cultura, e della formazione che essa deve difendere e trasmettere. [...]
Ogni volta che un insegnante entra in classe si deve confrontare con la propria
solitudine, con un vuoto di senso entro il quale è costretto a misurare la
propria parola. Lo stesso accade nelle famiglie dove l'autorità della parola del
padre non si trasmette più come un dato di natura, ma deve essere
ogni volta riconquistata dai piedi.
È la cifra fondamentale del nostro tempo: nell'epoca
dell'indebolimento generalizzato di ogni autorità simbolica è ancora possibile
una parola degna di rispetto? Cosa può restare della parola di un insegnante o
di un padre nel tempo della loro
evaporazione? La pratica dell'insegnamento può accontentarsi di essere ridotta
alla trasmissione di informazioni - o, come si preferisce dire, di competenze - o
deve mantenere vivo il rapporto erotico del soggetto con il sapere?
È un bivio culturale con il quale siamo confrontati. Ma
per scegliere la via dell'erotizzazione del sapere occorre che l'insegnante
sappia preservare il giusto posto dell'impossibile. È il tratto che
contrassegna ogni trasmissione autentica: la trasmissione del sapere di cui la
Scuola si incarica a ogni livello, dalle scuole elementari a quelle
post-universitarie, non è la chiarificazione dell'esistenza o la riduzione della
verità a una somma di informazioni, ma la messa in evidenza di come ruoti
attorno a un impossibile da trasmettere. Il maestro non è colui che possiede il
sapere ma colui che sa entrare in un rapporto singolare con l'impossibilità che
attraversa il sapere, che è
l'impossibilità di sapere tutto il sapere. Non perché non esista la
Biblioteca delle Biblioteche capace di raccogliere tutto il sapere, ma perché,
anche se esistesse e leggessimo ogni suo libro, non avremmo affatto risolto il
limite che attraversa il sapere come tale. Il sapere non si può mai sapere tutto
perché é per sua struttura bucato, non-tutto, impossibile. Uno scarto
irriducibile lo separa dal reale della vita. Si deve dire allora che un
insegnamento ha come tratto distintivo il confronto con il limite del sapere
attraverso il sapere, mentre il maestro che mostra di possedere il sapere può
essere solo una caricatura risibile del sapere.
Di qui la centralità che assume lo stile. Ogni insegnante
insegna a partire da uno stile che lo contraddistingue. Non si tratta né di
tecnica né di metodo. Lo stile è il rapporto che l'insegnante sa stabilire con
ciò che insegna a partire dalla singolarità della sua esistenza e del suo
desiderio di sapere. La tesi principale di questo libro è che quel che resta
della Scuola è la funzione insostituibile dell'insegnante. Questa funzione è
quella di aprire il soggetto alla cultura come luogo di "umanizzazione della
vita", è quella di rendere possibile l'incontro con la dimensione erotica del
sapere. [...] Il vero cuore della scuola è fatto di
ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali
ed emotive profonde. Perché quello che resta della Scuola, nel tempo della sua
evaporazione, è la bellezza dell'ora di lezione. Questa è stata per me la Scuola
e questo mi ha salvato. [...] Oggi segnaliamo una crisi senza precedenti del
discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una
società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione,
rimpiazzandolo con l'illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e,
soprattutto, economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla
rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma
di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie
come un'istituzione "paterna", che può separare i nostri figli dall'ipnosi
telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore del godimento
"incestuoso", per risvegliarli al mondo. Ma anche come un'istituzione capace di
preservare l'importanza dei libri in quanto oggetti irriducibili alle merci,
oggetti capaci di fare esistere nuovi
mondi.
Capissero almeno questo i censori implacabili!
Capissero che sono anzitutto i libri - e i mondi che ci
aprono - a ostacolare la via a quel godimento mortale che sospinge i nostri
giovani verso la dissipazione della vita (tossicomania, bulimia, anoressia,
depressione, violenza, alcolismo, ecc.). Lo sapeva bene Freud quando riteneva
che solo la cultura poteva difendere la Civiltà dalla spinta animata dalla
pulsione di morte. La Scuola contribuisce a fare
esistere il mondo perché un insegnamento, in particolare quello che accompagna
la crescita (la cosiddetta «Scuola dell'obbligo»), non si misura dalla somma
nozionistica delle informazioni che dispensa, ma dalla sua capacità di rendere
disponibile la cultura come un nuovo
mondo, un altro mondo rispetto a quello di cui si nutre il legame familiare.
Quando questo mondo, il nuovo mondo della cultura, non esiste o il suo accesso
viene sbarrato, come faceva notare il Pasolini luterano [il Pasolini autore di
"Lettere luterane", ndr], c'è solo cultura senza mondo, dunque cultura di
morte, cultura della droga.
Se tutto sospinge i nostri giovani verso l'assenza di
mondo, verso il ritiro autistico, verso la coltivazione di mondi isolati
(tecnologici, virtuali, sintomatici), la Scuola è ancora ciò che salvaguarda
l'umano, l'incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte
intellettuali, l'eros. Un bravo insegnante non è forse quello che fa esistere
nuovi mondi? Non è quello che crede ancora che un'ora di lezione possa cambiare
la vita?"
Estratto dell'introduzione di Massimo Recalcati (psicoanalista)
al libro "L'ora
di lezione", Einaudi, 2014
"Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione, rimpiazzandolo con l'illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti"...
RispondiEliminaE' una similitudine quasi perfetta.
com' è tutto vero!!!!
RispondiEliminaSarebbe bello fare venire pure lui! ;-)
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