Belle letture per l'estate.
QUI l'intervento di Daniel Pannac (insegnanti di franceseeeee!!!).
QUI l'intervento di Alessandro Baricco
E QUI e di seguito un'analisi comparata che trovo interessante e ricca di spunti, comunque la si pensi.
Interessante paragonare le recenti riflessioni dello scrittore
francese Daniel Pennac con quelle dello
scrittore italiano Alessandro Baricco sulla scuola: il primo punta
sull’importanza del desiderio di apprendere, anzi sul piacere di
apprendere, addirittura consiglia di non fare entrare gli alunni in
classe con ipad, cellulare e pc poiché questi mezzi (da non demonizzare)
favoriscono la fuga dall’esperienza relazionale che costituisce il
fondamento dell’esperienza educativa, invece Baricco propone quasi il
contrario con una scuola che dovrebbe rinnovarsi partendo dal digitale.
Pennac si preoccupa della formazione come cittadino consapevole e
autonomo, dell’apprendimento possibilità di fare emergere una
soggettività critica per combattere la trasformazione dell’alunno in
consumatore asservito ad un sistema alienante che uccide ogni capacità
di essere per davvero libero.
Baricco afferma che digitale e
linguaggio scolastico non s’incontrano evitando tuttavia di ragionare,
come fa Pennac, sugli effetti del digitale sullo sviluppo
psico-emozionale e neuro-cerebrale del bambino. Non si pone minimamente
la questione del rapporto da consumatore che ha il bambino con questi
oggetti. Pennac, dalla sua esperienza d’insegnante e anche di alunno
“difficile” (vedi Chagrin d’école), vede nella relazione l’essenza del
processo educativo – in questo la presenza pervasiva dell’oggetto
digitale rappresenta un ostacolo che spinga all’autoisolamento e non
all’apertura all’altro -, considera anche l’importanza dell’incontro con
l’adulto consapevole e attento pedagogicamente. Questioni che non
sembrano preoccupare Baricco che sembra, alla differenza di Pennac,
ignorare i lavori dei neuroscienziati come Lamberto Maffei e Nicholas
Carr sull’impatto dell’invasione del digitale nella vita dell’infanzia e
della pre-dolescenza: impoverimento emotivo e relazionale,
restringimento della sfera cerebrale che gestisce le funzioni del
linguaggio e del pensiero, quindi di tutta la sfera cognitiva, una
perdita progressiva della capacità di fantasticare e, come hanno scritto
il filosofo Bernard Stiegler sui fenomeni di “captazione mentale” e il
pedagogista Philippe Meirieu sull’emergere di “nuovi poteri ascendenti”
quali sono i media informatici, una incapacità di sublimare e una
ipertrofia del volere tutto subito senza riuscire a gestire il tempo
dell’attesa e quindi a strutturare quel linguaggio intrapsichico che
permette di fornire un senso e un significato a quello che si prova
nella relazione con l’altro.
Ci sembra che l’approccio di Daniel
Pennac sia molto più profondo e attento all’importanza dell’esperienza
relazionale come spazio della crescita soggettiva e come base della
formazione di un cittadino consapevole, Baricco affronta una questione
importante come quella della presenza del digitale senza tuttavia porsi
veramente la domanda del come educare all’uso di questa tecnologia e del
come la ricerca di senso, rispetto alla condizione umana e alla propria
esistenza in un mondo fatto di diseguaglianze, non possa avvenire a
scapito del senso di appartenenza al genere umano e quindi
dell’importanza di vivere questa dimensione nel rapporto con l’altro e
l’esperienza educativa reale e non virtuale. Per di più mentre Pennac
assume esplicitamente una posizione critica verso i progetti
neoliberisti di riforma della scuola che emergono in Francia, sembra che
quest’aspetto non interessi più di tanto lo scrittore italiano. Sono
due modi di concepire la funzione dello scrittore e dell’intellettuale
nella società: quella di Pennac che prende posizione sul piano
etico-politico e quella di Baricco che rimane nella sua funzione di
specialista della letteratura e basta. Come lo sappiamo sono due visioni
che storicamente (come l’ha ben descritta Gramsci nei suoi scritti
sugli intellettuali) caratterizzano l’atteggiamento degli intellettuali
francesi che intervengono nella sfera pubblica rispetto alla gestione
della polis e gli intellettuali italiani che curano la propria estetica
senza sporcarsi più di tanto le mani.
Alain Goussot, docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna.
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